di Patrizia Capuzzo per Piave Jolly Club
Ci sono persone che attraversano la vita lasciando un segno profondo.
Claudio Bortoletto è stato una di queste. Se n’è andato troppo in fretta, portato via da una malattia fulminante, lasciando un vuoto grande non solo nel nostro cuore, ma in tutto il mondo del motorsport.
Ha iniziato da giovane. Al San Martino di Castrozza del 1975 e del 1976 navigava l’amico di sempre, Aurelio Sandonà, compagno di banco fin dalle elementari. Correva con l’Alfasud TI Gruppo 2 con i nostri colori sulla carrozzeria. Due gare vere, fatte di entusiasmo e voglia di imparare: 56° assoluto nel ’75, poi 45° e 2° di classe l’anno dopo. I risultati contavano il giusto: a fare la differenza era la passione.
Claudio era sveglio, brillante, organizzato. Lo aveva notato anche Roberto Angiolini, che l’ha incontrato quasi per caso nel bar di famiglia, a Treviso. Gli ha chiesto di raggiungerlo a Milano. Da lì in poi non si sono più separati, fino al 1999.
Con il Jolly Club, Claudio ha dato tutto. Ha portato un metodo nuovo, preciso: le assistenze coordinate via radio, la logistica studiata nei minimi dettagli, la capacità di leggere le gare con lucidità. Era un direttore sportivo preparatissimo, con un carattere forte e un modo di fare tutto suo. A volte spiazzava, ma faceva centro. I risultati parlano chiaro: più di 160 vittorie, sei titoli italiani, tre europei, due mondiali.
Ha lavorato con piloti straordinari – Biasion, Cunico, Tabaton, Fiorio, Sainz – ma ha lasciato il segno anche in chi, come Andrea Adamo, ha iniziato dal basso e grazie a lui ha imparato cosa voglia dire fare le cose bene, sempre. Per tutti era semplicemente “il Capo”. Una guida vera. Uno che non alzava mai la voce, ma che sapeva farsi seguire.
Dopo lo scioglimento del Jolly Club ha continuato a lavorare nel mondo delle corse, anche con ACI Sport, contribuendo al Rally Italia Sardegna e alla gestione dei campionati italiani.
Oggi lo ricordano in tanti: campioni, tecnici, giornalisti, amici. Ma noi, quelli che c’erano all’inizio, lo sentiamo ancora uno di noi. Perché Claudio non è mai stato solo un professionista: è stato parte della nostra storia. Delle nostre strade, delle nostre notti, delle nostre radio gracchianti.
Ciao Claudio.
Grazie davvero, da tutti noi.